Con una superficie di 6.7 milioni di chilometri quadrati, la foresta pluviale amazzonica si presenta come un ecosistema vasto e incredibilmente ricco. E’ in grado di assorbire tra i 90 e i 140 miliardi di tonnellate di CO2. Al suo interno sono presenti una moltitudine di esseri viventi. Ci sono decine di migliaia di piante, milioni di insetti e circa 4000 vertebrati. Buona parte di essi risultano scoperti e classificati proprio in Amazzonia. Questi dati aiutano a comprendere quanto le problematiche riguardanti la salute del ‘’polmone del mondo’’ siano legate a due ambiti di grande importanza. Si tratta della prevenzione del surriscaldamento globale e della salvaguardia dei principali habitat della Terra. La parziale compromissione della vegetazione amazzonica comporta già oggi una maggiore diffusione di anidride carbonica nell’atmosfera. Una circostanza che sta minando drammaticamente gli equilibri e il benessere di tutti gli animali della selva.

Le emergenze della foresta
L’Amazzonia è al centro delle attività di numerosi enti che si occupano della protezione delle specie in via di estinzione. Basti pensare che a prescindere dalle attuali difficoltà del territorio, il WWF ha già stilato una lista degli esemplari in pericolo. Al vertice sono attualmente segnalate alcune particolari emergenze, non del tutto note. In pericolo ci sono l’armadillo gigante, il pecari labiato, il formichiere, l’aquila coronata e il tinamo grigio. Altrettanto preoccupante è la condizione delle varietà che solo negli ultimi tempi hanno cominciato a fare i conti con la lotta per la sopravvivenza, innescata soprattutto dalla carenza d’acqua e dagli incendi. Tra le specie in pericolo c’è l’opossum dalle spalle nere, scoperto di recente nelle regioni del Brasile occidentale. Secondo gli esperti, la minaccia principale per questi piccoli animali sarebbe da attribuire, in primo luogo, alle conseguenze derivanti dalla necessità dell’uomo di appropriarsi di nuovi terreni.
Stop alla deforestazione
Gli ultimi 10 anni sono stati difficili per la foresta amazzonica. Parliamo, infatti, della distruzione di 300.000 chilometri quadrati di bosco, di cui 170.000 appartenevano a quella che viene anche definita ‘’foresta vergine’’. Si tratta della frazione della boscaglia non ancora contaminata dalla presenza umana, all’interno della quale si registra di solito un alto tasso di biodiversità. Le cause del disastro vengono imputate principalmente ai progetti di deforestazione volti a creare nuove aree da dedicare ai pascoli e alle piantagioni. Tuttavia, in questo allarmante panorama non ha senso lanciarsi alla disperata ricerca di un colpevole, sono i dati di fatto quelli che contano: abbattere gli alberi implica automaticamente uno squilibrio generale del livello di umidità dell’ambiente, favorendo la siccità e, di conseguenza, la propagazione di incendi feroci, inarrestabili e devastanti.